A sentire molta gente si stava meglio ieri.

Ieri vuol dire passato, mi sembra ovvio. Ieri sta per cinque, dieci o vent’anni fa. É una metafora.

Non so bene perché, ma a quanto pare è proprio così. Un tempo le cose andavano meglio. Un tempo c’era più rispetto per gli anziani, per i genitori, per il cartello “SILENZIO” in biblioteca. Un tempo si chiedeva per favore, i ragazzini mangiavano con la bocca chiusa, i ladri rubavano meno, gli ubriaconi facevano meno incidenti, i terroristi facevano un po’ meno terrore.

Un tempo quando la mamma metteva nel piatto qualcosa la si mangiava tutta e si diceva grazie, si diceva per favore e si guardava a destra e sinistra prima di attraversare la strada.

Poi deve essere successo qualcosa tra ieri e oggi e tutto è andato in malora, come diceva mia nonna.

 

La Signora Bianchetti si svegliò contenta. Era domenica e la domenica si fanno i dolci. Trotterellando andò in cucina e tirò fuori il grande libro di ricette e si mise a sfogliarlo tenendolo in bilico sul lavabo, mentre si faceva un caffè. Ah, le pagine erano così meravigliosamente consunte!

Prima di girare ogni pagina la annusava e sentiva quel sapore un po’ dolce e un po’ polveroso delle cose antiche.

All’improvviso puntò un dito su una pagina da cui si affacciava imperiosa una torta ricoperta di panna e fragole: – È te che voglio!-

 

Non so bene in che direzione stiamo andando, se sia quella giusta o quella sbagliata. Non penso ci sia una direzione. Se ci fosse e le cose di un tempo fossero effettivamente più corrette di quelle di oggi, sarebbe molto semplice allora tornare indietro e rifarle al contrario. Ci sarebbe allora una maggior probabilità di imbroccarle giuste. Tutti meritano una seconda possibilità.

Il fatto è che non esiste una direzione, perché non credo esista il concetto di giusto o sbagliato. E senza questi due estremi non siamo più su una strada con un inizio e una fine e la scelta dell’andare avanti o indietro; siamo in un enorme piana di cui non si vede la fine, senza punti di riferimento. Per quel che ne sappiamo potremmo star camminando in tondo dall’alba dei tempi.

Forse, in fondo, non ci siamo mai troppo evoluti.

 

La Signora Bianchetti prese la grande ciotola di legno e ne accarezzò la pancia, come ad una vecchia amica incinta di una bellissima promessa. Prese la bilancia e pesò 400 g di farina. Prese 4 uova, 150 g di burro, il limone per grattugiarne la buccia, 4 cucchiai di zucchero (poi ci ripensò e ne aggiunse un quinto). Sistemò tutto in ordine davanti a sé, come fosse un piano di battaglia per sopravvivere fino a sera.

Fare le torte era qualcosa di estremamente bello, piacevole, caritatevole e amorevole per la Signora Bianchetti. Le torte riempivano i ricordi della sua infanzia come la crema riempie un bignè. Aveva sistemato tutto come le diceva sempre di fare sua mamma quando aveva otto anni. Poi era la mamma a impastare tutti gli ingredienti, ma a prepararli era la piccola signorina Bianchetti e mai una sola volta l’avevano delusa. Era un lavoro di squadra, quello. Lei a volte poteva infilare la mano nella farina, poi la mamma avrebbe fatto la magia e, su questo, ci si poteva mettere la mano sul fuoco!

 

Vaghiamo in lande desolate domandandoci se in effetti abbiamo mai fatto dei progressi, dato che ieri ci sembra sempre meglio dell’oggi. Il fatto è che teniamo il passato nella nostra testa e, per tenerlo al sicuro, per nasconderlo a chiunque, la nostra testa lo muta e lo rende irriconoscibile. Ci ritroviamo con un passato o bellissimo o bruttissimo (nel secondo caso, comunque, ci pensiamo raramente, perché siamo delle creature molto vili – dunque i ricordi di ieri non possono che essere sempre, costantemente, stupendi e nostalgici). E sono talmente belli che a rifare le cose nel presente non ci sarebbe mai lo stesso gusto.

 

La Signora Bianchetti setacciò la farina, guardando compiaciuta i piccoli granellini che volteggiavano nella sua vecchia amica panciuta. Poi vi immerse dentro le mani, le rivoltò nella farina stringendosela nei pugni e lasciandola andare tra le dita. Accarezzò le uova ancora intatte, immaginando di romperle. Saggiò la consistenza del burro morbido.

Sospirò una volta. Poi due. Poi si decise e, con cura, riversò la farina nel suo sacchetto, spolverò la ciotola di legno, rimise le uova al sicuro in frigo, cui seguirono il burro e il limone. Anche lo zucchero disse addio alla luce del giorno.

Infine, sorridendo contenta e soddisfatta, chiuse anche il grande ricettario.

Sì, le torte le davano sempre il buon umore.

 

Non è nel passato che si sta bene, è nei sogni che ne ricaviamo.