-Sei felice?

-Sì, sono felice.

-No, devi pensarci prima.

-Cosa?

-Sì, ci devi pensare su, se sei felice o no, mica mi puoi rispondere così subito.

-E perché no? Sono abbastanza certa di essere felice, scusa.

-Come fai ad esserne sicura? Ci hai pensato ‘sta mattina? Ti sei svegliata e mentre ti preparavi la colazione ti sei chiesta: oggi sono felice? Quanto sono felice?

-Mi preoccupi così. E poi lo sai che non faccio colazione la mattina.

-Quindi non ti sei chiesta se sei felice, oggi.

-No, è vero non me lo sono chiesto.

-Quindi mi hai dato una risposta senza pensarci.

-Sì, ok hai ragione, non ci ho pensato, ma comunque penso di essere felice.

-Allora non ne sei più tanto sicura, ora.

-Beh sono viva, ho un lavoro, mangio, ho un tetto sopra la testa, mi piace quel che faccio e ho dei buoni amici.

-Quindi questa è la ricetta della felicità?

Ci penso un attimo, perché all’improvviso non sono più tanto sicura di quello che dico. E poi lo sapevo, lo sapevo che era sulla ricetta che andava a parare. Va sempre a finire così.

-E com’è come ricetta, eh? E’ buona o cattiva?

Insiste lei.

-E’ ok, suppongo. Né buona, né cattiva. E’ insapore, come l’acqua.

-Beh non può essere che la felicità sia insapore, non trovi? Ce l’ho io la ricetta giusta. Dai, suvvia vieni da me.

La guardo. In fondo non ha detto una cosa sbagliata. La felicità deve sapere di qualcosa di buono, talmente buono che la riconosci subito, che ad ogni boccone le papille gustative non ti si spengono, anzi si riaccendono di emozione e tu sei quasi lì a boccheggiare e a tentare di trovare il mondo di mandar giù in fretta per mangiarne subito un altro pezzetto.

-Dai, vieni da me, tanto lo sai che io sto sempre qui per te.

Quasi mi commuovo. Vado da lei, prendo il cucchiaino dal cassetto. Le do un buffetto sulla curva della pancia e la apro, spalancandone il coperchio.

 

Ah, la Nutella.