A volte l’impellenza di scrivere è più forte dell’argomento in sé e a volte l’argomento di cui si vuole scrivere è molto più urgente della forma dentro cui lo si ingabbia.

Non esistono molti modi di scrivere di cuori infranti se non dire che si sono rotti e non esistono molti modi per prevedere quando e se si romperanno mai.

Per l’arresto cardiaco si possono leggere i valori del sangue, si possono contare gli infarti, ma per un cuore infranto non c’è un metodo empirico. Si può solo sperare che non si rompa mai e che se si rompe sia solo l’arresto momentaneo di un muscolo sotto pressione, come un crampo.

Si può avere un crampo al cuore per il troppo uso, poi?

Una volta ho letto in un libro la domanda: che rumore fa un cuore quando va in frantumi? E in effetti è una domanda abbastanza stupida perché se ci si pensa bene fa il rumore di una persona che piange, accartocciata sul letto e si chiede: – Perché? -.

A volte fa il baccano di un treno che deraglia, di qualcosa che prima funzionava in modo grandioso e aveva una potenza strepitosa che all’improvviso, senza una ragione particolare, comincia a cigolare, barcolla, ed esce da un binario di armonia che avrebbe invece dovuto portarlo lontano in tutta sicurezza. Non ci si aspetta che un treno deragli, eppure succede e a volte succede per il troppo impeto della sua corsa.

A volta fa il rumore di una porta che sbatte, tirata dal vento, una porta che si schianta e che, prima che tu te ne accorga, è già chiusa e quel che rimane di tutto è uno scorcio distorto di uno spioncino a cui si arriva solo in punta di piedi.

A volte fa il rumore di un sogno, a notte fonda, che evapora alle prime luci del mattino.

A volte ha il suono di risate, troppo brevi e troppo intonate, che quando un cuore è intatto non ha paura di sghignazzare a tutto volume.

A volte ha lo schiocco come di baci dati sulle guance e non sulle labbra.

E poi risuona nel silenzio di frasi soffocate e “Ti amo” che non si dicono più.