A fare i lavori pesanti, in casa, siamo sempre in tre: io, mio papà e Dio.

Il nostro è un triangolo consolidato, ma all’inizio era un duo e la new entry sono io.

Non so bene in che situazione mio padre e la divina provvidenza abbiano cominciato a collaborare, ma devono trovarsi molto bene, perché lavorano in coppia da almeno vent’anni.

All’inizio era un rapporto piuttosto burrascoso, fatto per lo più da incomprensioni che venivano esternate sotto forma di bestemmie ed insulti.

Il divino arrivava allora sotto forma animale.

Ma negli ultimi cinque anni o poco più hanno trovato un dialogo e non l’hanno più perso. Sono molto intimi, loro due, perché si parlano, a quanto pare, da molto tempo, però sono entrambi molto burberi, quindi non si sa mai dove può andare a parare l’atmosfera del momento.

 

Abbiamo una suddivisione dei compiti molto precisa, quando lavoriamo a montare qualcosa in casa.

Mio papà è il capo, quello che stabilisce una tattica d’attacco sfruttando il libretto delle istruzioni come una mappa di guerra. Usa gli attrezzi seri (quelli con le lame e le parti che girano veloci) e ha l’ultima parola su tutto.

Io annuisco, principalmente, e solitamente giro la mappa da guerra di mio papà in modo che il Nord punti il Nord e il Sud punti il Sud e aiuto con l’orientamento. Uso l’attrezzeria leggera (le forbici con le punte arrotondate).

Dio viene e assiste semplicemente. Guarda come i vecchietti guardano i cantieri e credo che ogni tanto si lasci scappare qualche commentino acido, perché quando siamo in difficoltà ogni tanto papà alza il pugno verso un punto imprecisato del soffitto e sibila:

– Dai! Fallo ancora Signore! Provaci ancora, su!-

Il loro dialogo è fatto da queste frasi ed esclamazioni o dalle domande esistenziali che mio padre gli rivolge. Tipo:

– Ma perché, Dio? Eh? Perché fai così? Cosa ti ho fatto di male oggi? Ne vogliamo parlare? –

Poi però fanno sempre la pace, perché la volta dopo, Dio è di nuovo con noi a chiacchierare con papà.

 

Giusto ieri però, è stato così gentile da aiutarci anche.

Stavamo cambiando il lampadario in camera mia. E’ una di quelle geniali invenzioni per cui è abbastanza comodo da essere montato da qualcuno che non sia un illuminotecnico, ma abbastanza complicato da dover posizionare la scala, avvitare una vite, dover scendere, spostare la scala di 30 cm, risalire per avvitare la seconda vite e così via.

Dunque io ero su una scala proprio sotto il lampadario a tenerlo su, mentre papà avvitava le viti in una sorta di corsa a staffetta attorno a me.

Ha montato la prima ed è corso giù, ha posizionato la scala dietro di me ed è risalito.

A quel punto non so bene cosa sia successo.

So solo che il mio inconscio stava pensando al video che avevo visto il giorno prima sulla compilation di persone che si fanno molto male facendo i lavori in casa, tra cui c’era un uomo su una scala a montare un lampadario che, ovviamente, cadeva rovinosamente. Lui e il lampadario.

Ingenuamente il mio inconscio se la rideva perché stava pensando: “Pff a noi non capiterà M-A-I!”.

Il quel momento, al rallentatore, mio padre si sporge verso di me e il lampadario che stavamo montando.

La sua scala pende verso la mia.

Si appoggia alla mia gamba.

La mia gamba si appoggia alla mia scala.

La mia scala si appoggia alla scrivania subito alla mia sinistra.

La scrivania si appoggia alla sedia.

La scrivania e la sedia sono su un tappetto che inizia, molto al rallentatore, a scivolare.

Il risultato è che le nostre scale pendono sempre di più.

Io comincio a pensare alle implicazioni dell’andare ad abbracciare la lampada a stelo sotto di me e a baciare la plafoniera in vetro con la mia faccia.

Faccio un rapido calcolo su quanti spigoli nella nostra traiettoria si possano trasformare in cause di morte cerebrale.

Sto cominciando a pensare di saltare giù tentando in un qualche modo di scavalcare scrivania-sedia-lampada, quando Dio deve avere frenato la caduta in un qualche modo.

Tutto si è bloccato nell’esatto punto in cui il baricentro di ogni singolo elemento di questo tetris era in perfetto equilibrio.

 

Ho capito il rapporto di grande cameratismo tra mio papà e Dio perché mio padre ha guardato il soffitto molto intensamente e in faccia gli leggevo uno sguardo che diceva che, se il Signore fosse stato in carne ed ossa, in quel momento, si sarebbero battuti una pacca sulla spalla e si sarebbero fatti una birra al bar, ridendoci su.