È assolutamente meraviglioso come l’andare al mare esponga tutti i generi e le definizioni sociali dell’uomo come un fiore fa con la sua corolla di petali.


Letteralmente.
Tutte le categorie inventate dalla civiltà che abbiamo così duramente creato in due milioni di anni di evoluzione le si può trovare stese sui teli della spiaggia.

È come andare al supermercato, nel reparto frigo: tutti i polli incartati, incelofanati, spiumati e glabri che un’estetista diventerebbe verde d’invidia. E tu puoi veramente scegliere!

Ecco perché l’estate fomenta tutte queste storie d’amore che spuntano come funghi. Non sono gli ormoni che partono con l’aumento delle temperature, no. È solo che ti vedi spiattellata la merce sul banco davanti al naso.
E allora puoi veramente scegliere.

C’è quello che corre sulla spiaggia al rallentatore, con espressione di cordoglio e grugniti che vogliono essere sensuali, in un’imitazione sbiadita di Bay Watch. Solo con meno muscoli e meno olio d’oliva spalmato addosso.

C’è quella che esce dall’acqua al rallentatore pure lei (ragazzi è il caldo che inibisce le capacità motorie, evidentemente), con un’espressione che se entrate nel suo campo visivo tutto quello cui riuscite a pensare è la meccanica a sfregamento di un corpo che ne perfora un altro.
In realtà lei è miope è sta tentando di ritrovare il suo asciugamano.

C’è quello che viene in spiaggia per far vedere i tatuaggi. Ne ha tanti, ma così tanti che ha dovuto aprire un mutuo sulla casa della madre vedova. Ma è per una buona causa: qualcuna lo vedrà e penserà che tutti quei tatuaggi sono simbolo di coraggio e di forza. Deve essere così, lui questo l’ha visto su Focus Storia. È la base su cui si accoppiano quelli che vivono nella foresta equatoriale, in un paesino piccolo piccolo, un po’ vintage di cui non riesce a ricordare il nome.

C’è quello che si è ricordato della prova costume solo il 27 luglio.
E siamo al 12 agosto.
E lui deve ancora digerire il panettone di Natale che gli hanno portato i parenti di Ragusa.
Allora è diventato campione di apnea e tiene la pancia dentro, nascosta.

C’è quella che è indecisa.
Vuole abbronzarsi ma non sa dove.
E allora continua a girarsi a destra, a sinistra.
Sul fianco.
A testa in giù.
Azzarda un saluto al sole.
Saluta pure bagnino già che c’è.
E sembra una costiccina sulla brace.
Sia perché si rigira in continuazione, sia perché al termine della giornata il quantitativo di olio usato e il risultato sono gli stessi.

C’è quella in topless e l’unico motivo per cui è in topless è costato all’incira 10 mila euro.
Gliel’ha regalato il papà per i 30 anni (e già quando ti racconta questo dettaglio tu cominci a pensare a delle implicazioni familiari che i gemelli Lannister di Game of Thrones sono degli angioletti casti e puri al confronto).
Ma va bene che sia in spiaggia, perché ha i capezzoli talmente tesi che se ti metti accanto con il telefono riesci a prendere Sky.

C’è quello talmente bianco che non sai se sia lui così o se stia indossando la maglietta all’inglese.
Lo capirai solo a fine giornata. Se lo vedrai tutto rosso è stato coraggioso ed impavido e meriterà rispetto.

C’è quello che l’estate la odia.
Odia il sole.
Odia il mare.
Odia la sabbia nelle mutande.
Odia la crema solare.
Odia il mondo.
Quindi dopo una litigata con il bagnino, perché lui arriva già di cattivo umore, si rintana sotto l’ombrellone che sembra sia stato colpito da una maledizione e si muove solo nell’area delimitata dall’ombra.
Non ne esce.
Potrà tornare a casa sua solo dopo il tramonto del sole.

C’è quella malata di crema solare che non fa altro che parlare di malattie della pelle, di nei, dei saldi della Nivea, delle paraffine della Johnson’s Baby e della pace nel mondo.
Quella è bianca, ma solo per la calce che si è spalmata addosso.

C’è quella che fotografa qualunque cosa.
Le gambe con lo sfondo del mare.
Le conchiglie.
Il gelato.

Fotografa i pesci.
La sabbia.
Il sedere.
Il sole che tramonta.
Il gelato.
Il bagnino.
Le tette.
Le orme sulla spiaggia, così romantiche.
Il sedere.
La sua figura in controluce.
Le tette.
Lei e le amiche che corrono in acqua.
Il sedere.
La vista sugli scogli.
Il sedere.
Un tuffo.
Le tette.
Il sedere.
Le tette.
Le tette.
Il sedere.

E poi ci sono io, che mi addormento con il telefono in mano e mi sveglio con il segno sulla pancia.