Mio padre è un uomo che con la fiducia ha un rapporto ferreo.

Per fare qualunque cosa, nella vita, mio padre deve assolutamente fidarsi dei mezzi che ha a disposizione, altrimenti non c’è verso, fissa in cagnesco qualunque cosa sia l’oggetto dei suoi dubbi più amletici, dopodiché, dopo una buona mezz’ora, decreta, testuali parole, che “Lui non lo sa”.

Non è ben chiaro cosa lui intenda, quali oniriche frasi lui componga nella sua mente dopo quel “Non lo so”, ma i suoi timori li esprime con quelle tre parole e tre puntini di sospensione che risuonano nell’aria come altrettanti ammonimenti che il suo inconscio interpreta come: non lo fare, non è una buona idea e qui finisce male.

Come sempre, capisco l’approccio di mio padre alla vita dalle piccole cose, per esempio lui si fida solo di una tipologia di ciabatte. Da 24 anni a questa parte compra solo ed esclusivamente paia di ciabatte della stessa forma, dello stesso materiale e della stessa range di colori. Preferibilmente anche della stessa marca, ma ehi, mica si può chiedere troppo, giusto? Se se va in un negozio e lo si obbliga a provare calzature estive diverse lui è ben disposto a provarle, poi si pianta di fronte ad uno specchio come un opossum in pericolo (quindi immobile, sembra morto), per poi affermare, trenta minuti più tardi, che “Non lo sa”.

Non lo sa se gli calzano comode?

Non lo sa se gli faranno venire le vesciche?

Non lo sa se si intoneranno ai suoi pantaloni?

Non lo sapremo mai, temo, ciononostante lui non lo sa e le ciabatte non le compra.

Questa sua diffidenza si riflette anche su altri elementi della sua vita quotidiana. Mio padre non fa la lavastoviglie, non perché non sappia usarla, ma perché non sa caricarla con l’ordine geometrico di mia madre. Perciò non la fa, accumula le stoviglie nel lavandino fino a che qualcun altro, per disperazione, le mette a lavare.

Sentendosi probabilmente in debito vista la sua inefficienza nell’utilizzare un elettrodomestico così tecnologico mio padre compensa svuotando la lavastoviglie. Questo processo è più semplice dato che, dopo 24 anni passati tra gli stessi sportelli, armadi e ante della stessa cucina, si sente abbastanza intraprendente da mettere via piatti, bicchieri e posate.

Ci sono alcuni elementi di uso culinario che sono entrati a far parte del nostro armamentario e questi elementi sono le scatole di plastica dentro cui mia madre mette gli avanzi. Quelle scatole mio padre non riesce proprio a classificarle, non si fida della loro natura, del loro scopo, della ragione per cui si trovano in casa nostra e, più nello specifico, del motivo per cui saltano all’improvviso fuori dalla lavastoviglie. Non rientrano nella categoria piatti, né in quella delle pentole o delle posate, non sono né bicchieri né bacinelle.

Sono in una specie di limbo. Un limbo che per la verità è costituito da almeno 20 elementi e che ha una sua precisa ubicazione dietro una specifica anta della cucina, ma questo, mio padre si rifiuta di accettarlo, perciò le scatole, una volta tirate fuori dalla lavastoviglie, vagano per la cucina, spostate da un angolo all’altro, impilate in una colonna che cresce a dismisura finché o io o mia madre ci decidiamo a metterle via.

Recentemente alle scatole di plastica si è aggiunto un piccolo bollitore che viene costantemente abbandonato nei meandri più remoti della cucina e si perde tra una lavastoviglie e un “Non lo so”.