Ci sono alcuni di voi che hanno cominciato a chiedermi da dove io tiri fuori certe idee, certe storie.

A dirvi la verità, non saprei rispondere a questa domanda, perché non ne ho la minima idea.

Io per prima mi stupisco di questa cosa che ogni giorno c’è sempre qualcosa da dire; qualcosa di nuovo, di diverso, di inventato e di vero. Scrivere mi è sempre piaciuto, raccontare storie mi è sempre piaciuto, perché a me per prima piace farne parte, ma prima d’ora non ho mai scritto così tante e disparate cose per così tanti giorni di fila.

Di bello, in questo, c’è molto. Vedete, quando si fa una cosa del genere (scrivere, dipingere, comunicare, condividere queste cose così volatili e friabili che sono i sentimenti e le idee) non si scopre nulla di nuovo, ma si assaporano sfumature a cui prima non si faceva caso, si trovano aspetti nuovi in cose che si conoscono da tempo. È un po’ come fare un corso in enologia: non è che facendolo scopri che il vino è alcolico, quello ci si augura che lo sapessi fin dal principio, ma ti accorgi che il cabernet ha un sapore diverso dal valpolicella, che è diverso dal nero d’avola che non è un lambrusco, che non è neanche lontanamente imparentato con il porto. Ma, prima, per te, erano tutti rossi questi vini.

E ci sono molte sfumature che ho assorbito in questi pochi mesi. Per esempio la costanza. Io, che mi sono sempre vantata di aver avuto una media scolastica alta, in costanza ho un’insufficienza patologica pari al 3- – – che neanche in latino sono mai andata così male (a parte la volta che ho dovuto tradurre Seneca. Quello è stato brutto brutto). Ecco, sforzandomi di non mollare le cose a metà – ancora ci penso spesso, in effetti – mi sono resa conto che scrivere tira fuori da me cose che nemmeno io mi sarei mai aspettata.

Poi è uscita l’altra faccia della medaglia: il terrore del giorno in cui non avrei più trovato nulla di interessante da dire.

Panico.

Panico del non trovare qualcosa da dire.

Panico al pensare al panico di non trovare qualcosa da dire.

Panico nel panico e panico al quadrato.

E così ho scoperto che se mi chiudevo in casa e mi sforzavo di pensare a qualcosa ne uscivo più vuota di prima, più demoralizzata e con la sensazione di non star concludendo nulla e di potermi benissimo mettere a lavorare per uno straccio di salario, piuttosto che stare a perdere il mio tempo a buttare giù pensieri sconclusionati su facebook.

Ho scoperto che se apro la porta di casa ed esco, le idee arrivano da sole. In realtà non sono nemmeno idee, sono cose che accadono e che si accendono e allora io capisco che di quello devo raccontare. E’ come quando si cammina su una spiaggia e si trova incastrata tra gli scogli una bottiglia che riflette i raggi di sole. Così il tuo sguardo cade lì e ti abbaglia. Le storie, tutte le mie storie nascono così, da cocci di bottiglia sparsi tra gli attimi di una giornata.