Io e la sfiga abbiamo un rapporto molto stretto, andiamo in giro a braccetto dalla tenera età di 7 anni.

A 7 anni decisi consciamente di compiere il mio primo illecito comportamentale. Un mio compagno aveva portato in classe uno di quei palloncini che fanno le pernacchie quando ci si siede sopra e aveva il banco proprio accanto al mio.

Durante l’ora di disegno avevamo scherzato con la maestra di disegno della cosa e a turno tutti ci eravamo seduti sul palloncino. A 7 anni io ero fermamente convinta che le persone, con l’unica eccezione di me stessa, fossero tutte uguali e quindi reagissero tutte nello stesso modo. Questo pensiero mi dava molta importanza e relegava chiunque altro in un libro prevedibile e oltremodo noioso. Quel giorno capii che avevo torto.

Al cambio dell’ora mi girai verso il mio compagno e gli dissi:

– Mettila anche sulla sedia della Maestra Marina!-

– Sei matta! – Disse lui, – Alla Maestra Marina no. Ho paura.-

– Lo faccio io! – affermai improvvisando un estro che non avevo mai avuto prima.

Presi il palloncino-pernacchia, feci finta di buttare via una cartaccia e, tornando verso il mio banco, lo misi sulla sedia della maestra.

Lei non reagì bene (wow, che sorpresa) e alla domanda: – Chi è stato? – prima ancora che la maestra finisse di pronunciarla io avevo un braccio e un indice che, dalla mia destra, mi puntavano dritto in faccia (traditore). Ricevetti così la mia prima nota personale sul registro e sul mio diario di Topolino. La ricevette anche il mio compagno (traditore), perché a scanso di equivoci, il palloncino-pernacchia era suo e lui era abbonato alle note sul registro e perciò se la sarebbe presa, punto e basta (-C’erano le sue impronte sull’arma!- avrebbe detto la Signora Fletcher).

Non sapendo bene cosa fare decisi di non dire niente a nessuno e qui imparai anche cosa sia il concetto di procrastinazione.

La sfiga, a differenza del mio compagno di classe, non mi tradì e nell’infausto destino mi camminò accanto.

La mia condotta scolastica, extrascolastica, casalinga ed ecclesiastica (all’epoca frequentavo regolarmente il catechismo) era impeccabile quindi se agli occhi di un genitore un figlio è sempre perfetto, io navigavo tra cieli di intoccabilità e complimenti tali che la mia famiglia non avrebbe mai e poi mai pensato che la mia vera natura fosse quella di creatura corrotta e fedifraga; ero, in pratica, un cuculo nel nido di un dolce passerotto che dovevo aver ammazzato in ospedale, quando la donna che chiamo madre partorì. Tornando al nostro discorso, nessuno mi avrebbe chiesto nulla riguardo la giornata e nessuno si sarebbe insospettito di un mio silenzio, purché io mi fossi giocata bene le mie carte.

E me le giocai benissimo, fino all’ora di cena quando, la Madre, rincasando mi chiese:

– Allora? Mi devi dire qualcosa? –

Domanda estremamente diretta e insolita. Calcolai rapidamente i dati statistici della mia situazione:

  1. Non poteva essere stata chiamata dalla scuola. Il mio illecito non era stato di natura violenta e, oltre ai miei genitori, ero riuscita ad ingannare anche tutti i miei insegnanti sulla mia natura fino a quel giorno. Questo portava ad un’unica conclusione: la mia famiglia e il corpo docenti non mi credevano in grado di nascondere un atto impuro, ergo se io non avessi detto niente sarebbe stato perché non avevo combinato niente. No, la scuola non c’entrava.
  2. Madre era per caso andata a parlare con le maestre, quella mattina. Improbabile, perché io l’avrei saputo e perché l’illecito si era verificato verso il termine delle lezioni.
  3. Madre era una veggente. Plausibile, ma non avevo prove a suo carico, perciò decisi di giocarmi il tutto e per tutto.

– No, niente. – dissi come avrebbe detto il dolce ed inerme passerotto da me trucidato nel lontano ’93.

Mi guardò malissimo: aveva compreso che sapevo mentire spudoratamente e non provavo vergogna.

– Nemmeno… della nota? –

Venni incastrata solo perché a 7 anni ancora non sapevo cosa fosse un avvocato.

Crollai e dissi che sì, ero colpevole, che la dura lotta per la sopravvivenza tra i corrodi e i cortili della scuola elementare di periferia mi avevano forgiata come il fuoco di mille battaglie (guardavo molta tv), che avevo dovuto rendere il mio cuore di ghiaccio per sopravvivere ai soprusi e agli inganni (avevo anche iniziato a leggere molto), che il mio compagno di classe (traditore) aveva minacciato Pigrotto (la mia tigre peluche – ma io non riuscivo a pronunciare la T, da piccola) e che sì, ero colpevole di voler vivere nonostante tutti i patti e i compromessi che bisognava stringere con la vita e con la propria coscienza.

Forse azzardai anche un pianto, ma forse ero troppo impegnata a realizzare che la sfiga sarebbe stata da quel momento in avanti la mia migliore amica e che io non avrei potuto cambiare quel dato di fatto.

In pratica la Madre era uscita dall’ufficio un’ora prima del solito (avvenimento che accade con la stessa frequenza delle ere glaciali) e aveva deciso di recarsi in farmacia. Ma la farmacia da cui di solito andava era chiusa per lutto, quindi si era recata in quella del comune successivo, trovando, per pura c-a-s-u-a-l-i-t-à la mamma del mio compagno di classe (traditore) che, avvezza alle note del figlio (che forse solo in quell’occasione aveva avuto la prontezza di tirarsi indietro dal commettere un reato ed era invece stato incluso nella punizione), l’aveva raccontato alla Madre con cotanta leggerezza e con un tale sorriso che io non osai immaginare la reazione della regale genitrice.

Ad ogni modo imparai tre cose fondamentali, quella sera:

  • Ero un cuculo e lo sarei rimasto a vita;
  • La sfiga mi avrebbe sempre perseguitata;
  • Se vuoi mentire a tua madre, assicurati che prima non sia passata in farmacia.