Era da tanto che non soffriva così tanto il freddo, da dopo quel fatidico inverno.

Sì, certo piedi freddi e mani congelate e un naso che minaccia di staccarsi. Ma il freddo non le era più entrato dentro.

Conoscere lui le aveva portato quella sorta di allegro tepore tipico di tutti i sentimenti più belli.

Aveva cominciato a pensare a lui, agli inverni che non aveva sofferto e ai “tipici sentimenti più belli” quand’era passata accanto al 4A.

Non che non ci pensasse anche in altri momenti. Anzi, probabilmente ci pensava troppo. Anzi, per dirla davvero tutta lei pensava troppo, punto. Sempre, che si trattasse di comprare il latte o dei ricordi più belli che le attanagliavano lo stomaco a notte fonda, trasformandosi in incubi amari. Certo, il comprare il latte non era uno dei pensieri che le tenevano più occupata la mente, ma anche quello contribuiva al subbuglio.

 

Il fatto è che, mentre nell’arco di una giornata non c’era un momento specifico per pensare a lui – capitava a volte, per caso, volontariamente o sulla scia di ragionamenti più o meno masochisti – ma quando passava davanti al 4A, SBAM, ecco che quel ricordo saltava fuori.

E non c’era alcuna maniera per tenerlo lontano.

Ci aveva provato in tutti i modi: canticchiando tra sé e sé, contando i propri passi, stando al telefono, addirittura cambiando strada: neanche quello aveva funzionato, perché aveva comunque immaginato di passare accanto a quel civico ed era bastata anche solo l’immaginazione a risvegliare tutto.

 

4A , non era stata la casa in sé, ad essere importante.

Era più che altro il fatto che da davanti quel cancello, se si guardava verso ovest, subito prima dell’uscita della tangenziale si vedeva il parco divertimenti.

Di inverno, quando non uscivano con gli amici e il tempo permetteva di stare fuori solo per una passeggiata, passavano spesso per quella via e per quella casa. Si fermavano a guardare da lontano le vite di sconosciuti che si scontravano e si intrecciavano sotto le luci del parco a tema. Loro due non erano tipi da giostre e zucchero filato, ma erano tipi da stare fermi per strada ad immaginare come e perché la gente andasse sulle giostre e mangiasse lo zucchero filato, erano tipi da guardare sconosciuti tirando ad indovinare e inventando storie. Questi erano loro. Anzi, questi erano stati loro. Un tempo.

Non strizzò gli occhi. Tanto sapeva già cosa sarebbe accaduto se l’avesse fatto: avrebbe visto le luminarie del parco farsi delle grandi palle di luce sfocata; avrebbero invaso il suo orizzonte diventando coloratissime ed enormi, fino al punto in cui non avesse strizzato gli occhi talmente tanto da accecarsi e da chiedersi se mai quelle luci fossero esistite veramente.

 

E loro due erano davvero esistiti veramente?

Avevano scelto due strade talmente distanti che pareva impossibile si fossero mai incrociate.

Credeva di impazzire, tutte le volte che passava di fianco al 4A, perché si sforzava di credere di essere in grado di ricostruirsi da sola, da capo, eppure si ritrovava sempre a fare le stesse cose che facevano insieme e che riuscivano così naturali e così automatiche, perché avevano acquistato un senso solo quando per la prima volta le avevano fatte insieme.

Suo malgrado si ritrovò a strizzare gli occhi.

Potevano percepirlo, quelli sulle montagne russe e sulle tazze girevoli, quelli che compravano le frittelle e quelli che vendevano i palloncini, che ora, ad immaginare le loro vite c’era solo una persona e non più due?

 

Rabbrividì e si decise a proseguire. Quell’inverno faceva maledettamente freddo.